La “migrazione skillata”: un “triple win”?

La migrazione skillata è un tema tanto promettente che, nell’ormai lontano 2006, lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan si trovò a coniare per esso la brillante definizione di “triple win”...

La migrazione skillata è un tema tanto promettente che, nell’ormai lontano 2006, lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan si trovò a coniare per esso la brillante definizione di “triple win”. Aprendo nuovi canali di scambio e di investimento, questo tipo di spostamento trasferisce conoscenza, tecnologia e buone pratiche di business da un luogo all’altro del globo. Quindi, conviene sia ai Paesi di origine che a quelli di destinazione. Non bastasse, è un valore anche per chi la sperimenta direttamente, cioè per gli stessi profili migranti. Oggi è necessario rivolgere uno sguardo attento al tema dello sfruttamento pieno dei potenziali, cioè a tutte quelle azioni che, globalmente intese, possono contribuire allo scopo di evitare che la migrazione in sé disperda le skills dei suoi protagonisti, oltre ad assicurare per questi ultimi la capacità effettiva di avvalersi delle proprie competenze sia nel Paese di destinazione che nei successivi (ivi compreso quello di partenza, in caso di ritorno in patria). Una clusterizzazione di massima delle iniziative intraprese in ottica di risolvere al meglio una sfida importante come questa ci conduce ad almeno quattro tipologie diverse (Hooper K., Sumption M., Reaching a “Fair Deal” on Talent, MPI-Transatlantic Council on Migration Paper, 2016), raggruppate a partire dalla modalità specifica di volta in volta perseguita:

  • promozione di progetti educativo-formativi di spiccata qualità e respiro internazionale per futuri migranti e non (creazione di standard internazionali, consolidamento di partnership con enti stranieri accreditati, erogazione di scholarship e programmi di placement all’estero);
  • riconoscimento delle skills e dell’esperienza una volta giunti all’estero, in ottica di evitare dispersione di know-how “importato” dal Paese di origine (programmi di cooperazione internazionale tra Paesi con finalità di agevolazione nell’accesso a professioni specialistiche; iniziative di mentoring e job placement);
  • facilitazione della brain circulation con ritorno in patria (creazione di incentivi e di opportunità di business o lavoro);
  • “give-back” e condivisione delle skills senza vincolo di ritorno in via permanente (networking, coinvolgimento di imprenditori diasporici all’interno di iniziative di training e mentoring su base temporanea).

Si tratta di iniziative differenti sia per estensione, che per finalità e, ancora, per tipologia di attori di volta in volta coinvolti. Eppure, tutti questi progetti partono comunque da un sostrato comune che fa capo a due radici specifiche: la trasferibilità delle competenze, da un lato, ed un’istanza di connettività ancorata all’ambito locale che, di caso in caso, si declina in termini di certificazioni, mentoring, work experience.