Prendiamoci cura del talento

Dal Digital Summit di Capri un appello a sbloccare l’ascensore sociale per i giovani

E’ un’Italia che rischia di sprecare la sua “meglio gioventù”, quella che viene fuori dal ritratto del Digital Summit di Capri. Un Paese in cui, per un figlio di genitori non laureati, le probabilità di laurearsi sono addirittura sei volte inferiori rispetto a quelle di un figlio di laureati. Basta un solo paragone per capire quanto questo divide sia terribilmente serio. In Danimarca la differenza si riduce appena appena a due. Donato Iacovone, Amministratore Delegato di Ernst&Young Italia e Managing Partner per l’area mediterranea, nell’intervista rilasciata a Quotidiano.net, rafforza la sua preoccupazione in proposito parlando di un “ascensore sociale per i nostri giovani che è fermo, anzi tornato indietro.” All’allarme fa seguito un appello, direttamente rivolto alla filiera: “Non possiamo lasciare le università da sole. Dobbiamo investire nelle università.”

Nel solo 2018, 37mila giovani che hanno portato il proprio bagaglio di esperienze e competenze all’estero. Tra di loro, quella che dati di mercato alla mano può essere considerata la nostra “meglio gioventù”, i laureati in discipline scientifiche che gli addetti ai lavori definiscono Stem. Perché un laureato in ingegneria nel nostro Paese guadagna in entry level, cioè in partenza, circa 1300euro, mentre in Germania, a puro titolo di esempio, girano flussi da 3500. La retribuzione fa molta della differenza. Ma c’è altro: carriere più veloci oltreconfine, opportunità più floride. Esportando 37mila laureati da un lato, e producendone il numero più basso dell’Unione, dall’altro, rischiamo di trovarci presto di fronte ad un saldo negativo. Dobbiamo quindi, seriamente, prenderci cura del talento. E’ questione sociale e formativa. Sociale, perché dalla filiera va preteso il massimo sforzo nell’inserimento di laureati e profili giovani, per definizione più attenti ed adattivamente predisposti nei confronti del cambiamento in atto. Formativa, perché i laureati da inserire devono possedere le skills giuste per un mercato in continua evoluzione competitiva.

E non si tratta di formazione general-generica. Si chiama upskilling e deepskilling, e si traduce per i giovani nella formazione on the job, che integra (anche se tardivamente) il sapere che le università ancora non erogano in maniera sistematica: competenze trasversali che travalicano il sapere tecnico, corredandolo da un saper fare, un saper essere ed un imparare ad imparare. E’ il contraltare junior di un’altra lacuna del nostro Paese, la mancanza di formazione continua che per i profili più esperienziati, i senior, diventa reskilling, e dunque employability.

“L’attuale modello di formazione universitaria e post-universitaria tende all’autoprotezione” seguita Iacovone”, spingendo in primissimo luogo gli atenei a contemplare il mutamento in atto a livello di mercato e di mondo. Una modifica del paradigma di insegnamento che, oltre che veicolare conoscenza, offra un bagaglio di competenze da subito utilizzabili in azienda. Su questo fronte, l’appello del Summit di Capri tocca anche il fronte istituzionale, che ha spesso visto nei giovani una porzione sociale tendenzialmente demotivata. Oggi, mentre l’urgenza si fa sempre più pressante, nasce allora anche per la politica un’opportunità: quella di mettere mano alla motivazione delle nuove generazioni, supportandole nel cambiamento non più differibile, e facendo sì che l’Italia sviluppi, finalmente, la sua ricetta per curare il talento.