Upskilling, reskilling, deepskilling

Competenze-chiave tra assetto globale e contesto europeo

In un’epoca critica, in cui il mondo del lavoro sta subendo trasformazioni importanti ed impattanti ad opera dei fenomeni propri della Quarta Rivoluzione Industriale (che si tratti di automazione, machine learning, big data o dell’ormai gettonatissima Intelligenza Artificiale), la tecnologia impone evoluzioni pressanti alle skills richieste per svolgere la maggior parte delle professioni. Si tratta di una sfida sia per le carriere che per le organizzazioni e, di qui, per le economie ed i Paesi all’interno dei quali queste operano. Tenere il passo con l’innovazione diventa dunque il mantra dei nostri giorni, un imperativo che richiede (alle aziende, alle università ed ai governi stessi) azioni di upskilling, reskilling e deepskilling nei confronti di una variabile, quella del talento, che mai come oggi risulta in piena, continua e rapida trasformazione.

I due terzi della popolazione mondiale, inclusa quella di 9 economie emergenti su 10, risulta non in possesso delle cosiddette critical skills. Per questo, richiede un potenziale investimento formativo di dimensioni tutt’altro che trascurabili, nell’ottica di garantire ai rispettivi Paesi almeno una soglia minima di competitività in un mercato ultra-globalizzato. L’innovazione tecnologica in questo si presta a fare da chiave di volta per dischiudere opportunità di acquisizione su nuove competenze già nell’immediato futuro. Lo sanno bene le best practices nazionali, parliamo di Cile e Colombia, ma anche delle più vicine Ungheria, Romania, Bielorussia, che emergono, anche se ancora isolatamente, nella massa. Pesanti squilibri di competenze si registrano invece in Asia e nel Pacifico, oltre che nel Medio Oriente, in Africa ed in America Latina. Quanto agli States, sebbene universalmente noti per il portato di innovazione e pionierismo da sempre introdotto nel business, non raggiungono livelli di eccellenza rimarcabile a causa delle differenze regionali che, sommate, finiscono per squilibrare la media complessiva.

Grazie a killer-applicator del calibro di Finlandia e Svizzera, Austria e Svezia, Germania e Belgio, Norvegia e Paesi Bassi, l’Europa, invece, sembra configurarsi come una sorta di “skill leader” globale in aree come Business, Technology e Data Science. Il tutto deriva direttamente da un mix di importanti investimenti educativi e di avviamento professionale, da un lato, e di iniziative di pubblica educazione, dall’altro. E’ altrettanto vero, però, che l’Europa non rappresenta un continente monolitico, con livelli di performance stabili e consolidati in positivo rispetto al totale dei “suoi” Paesi. In confronto all’occidente, infatti, la parte orientale stenta ad eccellere, con fanalini di coda rappresentati da Turchia, Ucraina e Grecia.