Istat e il “dilemma disoccupazione giovanile”

Pubblicati i nuovi dati del prestigioso istituto che mostrano un sorprendente calo della disuccupazione giovanile. La situazione sta davvero migliorando?

Le ultime rilevazioni firmate Istat recano un paio di “liete novelle” su altrettanti fronti che ad oggi si sono dimostrati tra i più problematici: quello della disoccupazione generale, da un lato, e di quella giovanile, dall’altro. Stando agli ultimi dati resi noti dall’Istituto di Statistica, il tasso relativo ai disoccupati complessivi nel nostro Paese rilevato nel mese di agosto sarebbe tanto in calo (-0,3%) da tornare ad attestarsi sui minimi storici (si legga: novembre 2011) rispetto ai dolorosi anni passati. Ciliegina sulla torta, la rilevazione tarata sulla disoccupazione giovanile, scesa addirittura di un punto percentuale e mai così bassa da poco meno di un decennio.

Eppure, il dato non sembra placare gli animi, e ci si chiede se a conti fatti la condizione degli inattivi, giovani in prima battuta, possa davvero essere vista in termini così positivi. In primo luogo a causa di stipendi non adeguati a mansioni e competenze, e di lavori “di fortuna” diffusi soprattutto nel Sud del nostro Paese. Per le nuove generazioni (ventenni e trentenni in cerca di stabilità professionale) emerge infatti un’oggettiva difficoltà nell’ottenimento di uno stipendio adeguato e dignitoso rispetto alle relative condizioni di vita.

Eurostat ed i nuovi/vecchi fanalini di coda d’Europa

Eurostat fotografa un’Italia che, con il 27 giovani disoccupati su 100, si palesa come il Paese che affronta le maggiori difficoltà da questo punto di vista, seguita a ruota da Spagna (32,2%) e Grecia (33%). Un tempo si parlava di “Pigs” per indicare il fanalino di coda dell’Unione, gli echi odierni sembrano in buona parte confermare che nulla è ancora mutato in maniera sostanziale.

Aggiungiamo per il nostro Paese un preoccupante aumento di inattivi (+73mila unità rispetto alla rilevazione del mese precedente, cioè luglio) che riguarda i cosiddetti “scoraggiati”, quei NEET che pur non avendo un lavoro ha smesso di cercarlo, ed avremo l’istantanea di un Paese al quale la crisi economica ed i connessi strascichi continuano a far male.

Dato assoluto vs dato statistico: vediamoci più chiaro…

Istat menziona, come dicevamo più sopra, una disoccupazione giovanile mai così bassa da almeno 9 anni. Se tuttavia esaminiamo più da vicino i dati statistici e le percentuali registrate sui singoli mesi, scopriremo alcune cose interessanti.

In primo luogo, che il lavoro cresce di preferenza per i profili over50. Di contro, che l’occupazione cala di mese in mese per tutte le altre classi sociali. Che, dunque, qualcosa nel nostro Paese si sta muovendo a livello di employability, cioè di capacità per i profili di senior di rendersi appetibili nella transizione tra un capitolo professionale ed un altro. Che, ancora, molta strada deve essere percorsa per assicurare un livello di crescita, e più in senso lato di speranza, per quelli che saranno i professionisti di domani.

Soprattutto a livello di meritocrazia e competitività degli stipendi: rispetto al trimestre precedente di rilevazione, l’aumento Istat quantificato in 12mila unità per la classe 15-34anni (con tutte le riserve relative alla classe stessa di rilevazione, che ricomprende un’ampia fetta di popolazione ancora in età scolare...) è solo un settimo di quel che guadagnano gli over50.

La via italiana alla valorizzazione del talento giovanile deve dunque percorrere ancora un buon tratto in salita; ben vengano interventi in proposito, specialmente se condivisi e supportati da una base di attori tanto più ampia quanto profondo è il vulnus cui intende porre rimedio.