Simone e gli Italians
Le migliaia di Speggiorin di un Paese che non sarà mai un’isola
E’ una storia come ce ne sarebbero a migliaia. Bella, ma con quel finale agrodolce che fa riflettere, e che oggi come oggi dà tanto da pensare a tante persone (buon segno). Simone fa Speggiorin di cognome, cosa che tradisce subito le sue origini venete. E infatti è nato nella provincia veneziana 36 anni fa, nella cardiochirurgia ha scoperto la sua vocazione tanto da prendersi prima la laurea in Medicina e Chirurgia nel 2003 (tesi in Cardiochirurgia Pediatrica), poi la specializzazione in Cardiochirurgia (2008) presso un polo d’eccellenza del calibro dell’Università degli Studi di Padova. Fin qui tutto bene. Peccato, però, che davanti a sé non avesse altra scelta che affidarsi ad incarichi precari, senza soluzione di continuità e senza la possibilità di gettare le basi per un futuro più solido. A volte, però, ci sono nodi che si sbrogliano solo facendo la rivoluzione. Simone la sua rivoluzione l’ha fatta, e ha iniziato a guardare più in là del suo paese, della sua regione, dell’Italia stessa. Ha concorso per un posto da primario di unità nel Regno Unito. Valutato da un pezzo da novanta come Martin Elliot, Professore Emerito.
Simone la sua rivoluzione l’ha vinta. Oggi è il primario più giovane di tutta l’Inghilterra. Leggendo la sua storia, sui blog in rete o su theitaliancommunity.co.uk, fate voi, scappa un sorriso d’orgoglio, perché un altro talento italiano si sta facendo valere all’estero. Ma resta quello stesso amaro in bocca che appena qualche giorno fa traspariva anche da un editoriale scritto da Beppe Severgnini per il Corriere. “L’Italia che non sente i suoi emigranti. E perde un punto di PIL”, si chiamava il pezzo che chiamava in causa l’assurdità di un fenomeno che è questione nazionale urgente, ma che rischia di farsi sempre più rumore di fondo. Non perché non sia lecito esplorare il mondo inseguendo opportunità di crescita professionale, intendiamoci. Ma perché si tratta ancora di un circuito troppo a senso unico. Troppi escono, troppo pochi entrano (o tornano). Il nostro è un Paese che ha ancora molta strada da fare per rendersi realmente attrattivo; poca è ancora la coscienza che abbiamo sviluppato in questo senso.
Tra le illustri eccezioni, nel suo focus sulla Cina Severgnini citava Bocconi ed i Politecnici di Milano e Torino (lato accademie); poi STMicroelectronics, Fincantieri, Luxottica, Max Mara, Juventus (fronte imprese), tanto per fare alcuni nomi; da ultimo (lato istituzioni), il Ministero degli Esteri, con la nuova generazione diplomatica che sta spostando nuovamente l’ago della bilancia sul popolo italiano, ovunque esso si trovi, forte di primati nella moda e nella musica, nella tecnologia e nella cucina, nell’architettura e, come nel caso di Simone, nella medicina. Un esercito di giovani talenti, dagli USA alla Cina, dal Regno Unito all’Australia. Italians che non solo non abbiamo il diritto di relegare in un angoletto del nostro pensiero quotidiano, ma che dovremmo tenere a mente in termini di potenziale. Agganciare. Ri-attrarre, se possibile. Perché sono l’orgoglio dell’Italia, un Paese che non è (e non sarà mai) un’isola, e che merita un posto nelle reti globali di circolazione del talento.