Startupping

Il nostro è un popolo di poeti, di artisti, di eroi e… di creativi!

Startup. Un termine che nel settore dei servizi, poi diventa di dominio pubblico. Un’impresa in piccolo, pensata per intercettare un bisogno preciso, nuovo e da soddisfare o già presente ma da assolvere in modo innovativo. In un mercato come il nostro, in cui cose come la creatività, la rapidità e la capacità di pensare fuori dalle righe acquistano sempre più peso, il fenomeno startup va ritagliandosi una fetta di gradimento tanto ampia da essere ormai riconosciuto anche a livello governativo. Un tempo c’era il solo decreto legge 18 ottobre 2012 n° 179, che però contemplava solo le startup “innovative” (come se non ne esistessero altre). E’ di questo maggio, ancora, la sigla di un nuovo decreto che caldeggia incentivi fiscali per investimenti in startup e PMI, con detrazioni che arrivano al 30% per chi investe in questo business.

E il Paese non è rimasto a guardare. 397milioni di euro hanno preso questa via nei soli primi sei mesi del 2019. 43 round ed operazioni di crowdfunding per 24milioni. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, le stime parlano di +70%. Se aggiungiamo il maxi-fondo da 1miliardo di euro stanziato a febbraio dal governo, tutto fa credere che il 2019 si concluderà con finanziamenti a dir poco notevoli. L’Italia, dunque, oltre che sui suoi poeti, artisti, eroi e quant’altro, può contare anche su un popolo di creativi. Ma come si crea una startup? Da dove iniziare ad immaginarla? Ovviamente, dal fiuto. Intercettare un bisogno, come dicevamo più sopra. E poi, sviluppando un’organizzazione che, a differenza di altre più “pesanti” attività imprenditoriali, sia scalabile, cioè capace di aumentare progressivamente i clienti (e, di conseguenza, il volume d’affari) senza un impiego di risorse proporzionale.

Ancora: una startup che si rispetti deve basarsi su un modello ripetibile. Deve cioè potersi “clonare”, adattandosi a luoghi e condizioni diverse restando identico o, al massimo, apportando modifiche minimali. Parola del “guru” Steve Blank, imprenditore della Silicon Valley e promotore, insieme ad Eric Ries, del metodo Lean Startup. Restiamo in California con la classificazione che Mind the Bridge, fondazione, acceleratore e fondo di investimento allo stesso tempo, ha proposto dopo aver osservato i creativi del nostro Paese. L’Italia degli innovatori partorisce secondo MtB tre tipologie di startup ben precise. In primo luogo, techno startup (o startup di prima generazione): 20% del totale, ideate da giovani neolaureati o addirittura studenti senza esperienze d’impresa, ma con ottime skills tecniche ed informatiche. Un modo per entrare nel mondo del lavoro per i professionisti del domani.

La fetta più consistente (50%) dei creativi italiani ricorre però a startup figlie della crisi, popolate da ex dipendenti di aziende in possesso di buona esperienza del mercato del lavoro ma non altrettanto buona dose di imprenditorialità. Un modo per rimettere in gioco se stessi e dare una spinta alla propria employability. Da ultimo, il residuale 30% del totale spetta alle cosiddette startup scalabili, che sono invece promosse da imprenditori con background più solido, come tali in grado di reperire fondi ed unirsi a loro pari, co-founder con competenze complementari che meglio riescono a coprire la necessità di expertise manageriale, da un lato, e tecnica, dall’altro. Proprio per questo, a giudizio di MtB, a queste ultime si attribuiscono maggiori probabilità di successo. E voi, che startupper siete?