L’Italia e la nuova èra della Trasformazione Digitale

Entro il 2022, il 60% dei flussi aziendali si aprirà alla digital transformation e al cloud: il nostro mondo del lavoro è pronto?

Il prossimo 24 ottobre a Roma, Assintel presenterà l’ICT Report per il biennio 2019/2020, alla presenza, tra gli altri, della Ministra dell’Innovazione Paola Pisano e di Lucilla Sioli, Direttore Artificial Intelligence and Digital Industry della DG Connect per la Commissione UE. Alcune anticipazioni sui dati: entro il 2020 il 60% dei workload aziendali passerà su cloud, ed il 75% della gestione IT verrà governato da Intelligenza Artificiale. Il tutto in risposta alla crescente trasformazione digitale che spinge verso dinamiche di flessibilità, velocità e continuità nel servizio.

Per il nuovo regno del cloud, gli esperti del tema già parlano di quinta èra della modernizzazione informatica, dopo aver assistito ad innovazione come mainframe e del programming, architetture e virtualizzazione. Una nuova opportunità si dischiude per le imprese, che sempre più si stanno rivolgendo, attraverso l’utilizzo di strumenti di machine learning, ad un democratizzazione tecnologica che incrementa l’efficienza e, grazie all’automatizzazione, consente di governare ambienti complessi come quelli dell’attuale scenario di mercato.

Nuovi modelli operativi più agili, scalabili e capaci di accedere ad ecosistemi di soluzioni prima inimmaginabili fanno rapidamente ingresso nei processi lavorativi di ogni giorno, inaugurando un trend di investimenti che sarà presto destinato a decuplicarsi. Eppure, il nostro Paese fa ancora fatica a stare al passo con la trasformazione, spesso a causa di radicate sacche di resistenza al cambiamento che frenano le spinte innovative portate avanti, invece, da parti della filiera che sono e sono state in grado di comprendere il potenziale di questo mutamento e cavalcarlo.

La Cio Survey 2019 ci descrive un processo, quello della digitalizzazione, che ha avuto inizio almeno tre anni fa, e che entra in modo sempre più tangibile all’interno dei piani strategici aziendali, assegnando al profilo del CIO (Chief Information Officer) un ruolo sempre più decisivo, quale mediatore tra business e tecnologia. Il 66,7% del campione di riferimento riferisce investimenti pesanti in Advanced analytics, con l’introduzione di algoritmi di machine learning e la realizzazione di data lake utili a valorizzare i dati d’impresa. It Infrastructure & Cloud, con l’abilitazione di strategie di digital transformation e l’utilizzo di architetture raccoglie il 54,2% delle preferenze; Cybersecurity e Gdpr arriva al 48,6%. Funzioni trainanti della nuova domanda di innovazione in azienda, secondo la survey, sono il marketing e le vendite, a conferma di un nuovo focus su customer journey e customer experience interattiva, sui rapporti con clienti e prospect e lo sviluppo dell’offerta; c’è anche un’impronta HR, con evoluzioni lato smart working e gestione dei talenti.

Cosa frena allora l’Italia digitale? Quasi la metà del campione individua criticità relative al change management, all’accettazione dei cambiamenti ed alla costruzione di una nuova e più adattiva mentalità in azienda, che possa realmente pilotare e far propria l’evoluzione in atto con i suoi benefici. Altro nodo focale è quello delle competenze: uno “skill shortage” sia tecnologico che di business, con il podio delle professionalità più ricercate occupato da profili esperti nella gestione dei dati, nelle infrastrutture e nella security. Il LinkedIn Recruiter Sentiment 2019 afferma che tra lo scorso anno ed oggi le assunzioni sono aumentate. Ma, al netto dello squilibrio rilevato da più della metà degli intervistati tra il numero di candidati e le posizioni effettivamente vacanti, il campione concorda da un lato sull’assenza di strumenti valutativi adeguati, e dall’altro sulla mancanza di preparazione da parte dei candidati.

Un gap che si concentra per il 40% proprio sulle digital skills, e che individua tra le principali aree di miglioramento dei candidati l’ambito tecnologico ed il coding, con i conseguenti impatti su problem solving, time management e collaboration. In un Paese a 5G, senza adeguata formazione all’innovazione, digitale in particolare, rischiamo di seguitare a fare i conti con la carenza di preparazione al 4.0. Possiamo permetterci di soprassedere al cambiamento in atto?